Da anni la questione dei buoni pasto ha assunto diversi aspetti critici. Dai continui cambi appalto che causano enormi ritardi nella consegna, all’inaffidabilità delle società di distribuzione che ha causato enormi danni ai dipendenti che si sono visti bloccata la spendibilità dei buoni per diversi mesi, senza considerare il danno economico che ha dovuto sostenere lo Stato. Basti ricordare le note vicende della Qui Service e di Edenred.
La gestione dei buoni pasto, attraverso la CONSIP, ha visto creare il meccanismo dei forti ribassi per aggiudicarsi l’appalto da parte delle Società che di conseguenza applicano alte commissioni agli esercenti. Esercenti, dalla ristorazione ai supermercati, che spesso non li accettano anche perché economicamente non sostenibili.
Va considerato, inoltre, che alcune Amministrazioni impongono ai dipendenti civili, in sostituzione dei buoni pasto, l’utilizzo delle mense militari e/o di forze dell’ordine la cui qualità è tutta da verificare e che comunque non tengono conto di intolleranze e allergie alimentari, regimi alimentari personali come ad esempio quello vegano. In poche parole, oltre al danno anche la beffa!
E, infine, ci sono intere categorie di lavoratori del pubblico impiego (ad es. scuola, sanità, servizi educativi e dell'infanzia) completamente escluse dalla possibilità di percepire il buono pasto così come coloro che svolgono la propria prestazione lavorativa in regime di lavoro agile, anch’essi esclusi.
In un contesto attuale di crescita esponenziale del costo della vita, poi, il valore nominale del buono pasto fissato tra i 5 e i 7 euro da circa 20 anni (vedasi come esempio il CCNL 2004/2005 biennio economico Ministeri) e bloccato dal 2012 su tale valore dal Governo Monti rende questo strumento del tutto inefficace in relazione alla funzione per cui è stato istituito. È necessario, dopo 20 anni, che il valore del buono pasto sia adeguato al costo della vita per consentire ad un lavoratore di consumare un pasto almeno decente!
È pertanto necessario che:
• il diritto al buono pasto sia esteso a tutti i lavoratori e le lavoratrici del pubblico impiego, comprese le categorie oggi escluse;
• il valore nominale del buono pasto venga aumentato a 15 euro, diventando una voce del salario, con relativo inserimento direttamente in busta paga come voce non imponibile ai fini fiscali e previdenziali.
A tale scopo, i sottoscritti lavoratori e lavoratrici chiedono che nell’imminente Legge di Bilancio 2025 vengano stanziate le risorse necessarie a quanto da noi richiesto e il superamento di tutti gli ostacoli normativi attualmente in essere.